Cara Milano, oggi ti vorrei abbracciare

marzo 20, 2020


Cara Milano oggi ti vorrei abbracciare. 

Ti ho osservata, in questi giorni, dall’alto del mio balcone al tredicesimo piano. 
Le strade così vuote e silenziose come in agosto, ma con qualche grado in meno. 

Come in agosto, ma diversa. 
Dietro le finestre illuminate, infatti, si nascondono le voci dei tuoi abitanti, il brusio delle televisioni, l’odore delle teglie appena sfornate, il rumore dei bimbi che di questa quarantena non ne vogliono più sapere. 
Non proprio agosto, dunque.

Ho osservato i tuoi momenti di euforia primaverile alternarsi a momenti di panico e follia, ho visto i parchi affollarsi per poi svuotarsi il giorno dopo, ho pianto con te la mattina leggendo i bollettini, ho gridato a gran voce i versi di Mameli insieme ai vicini. Ho visto le tue stazioni riempirsi di chi ha preferito scappare, ho visto la tua gente restare. 

È come se fossi tornata indietro di dieci anni, a quando il mio cerchio si limitava a chi in questo luogo ci è nato e cresciuto, il quartiere e poco più. E per un momento è stato bello stringersi forte a chi c’è sempre stato e chi ti ha sempre vissuto in tutte le tue sfumature, chi sa davvero di che pasta sei fatta e ti ha scelto e ti sceglie ogni giorno. Per un attimo sei stata nostra e di nessun altro. 

Non succedeva da tempo.

La nostra Milano, il nostro piccolo tesoro, sempre così aperta, sempre così accogliente, a un tratto si è sentita abbandonata. Non ne ha fatto una colpa a nessuno, non avrebbe avuto senso. La ferita, però, quella l’ha sentita. E se per un momento è stato persino bello, presto è diventato doloroso.

Cara Milano, non sei abituata al silenzio, lo so bene. La tua vitalità è la tua linfa, le persone il tuo pane. La tua essenza si trova nella gente che la mattina affolla i vagoni della metropolitana, negli operai che ci svegliano a suon di martellate, nei giovani che affollano i navigli, nei bimbi che riempiono i parchi, negli studenti provenienti da ogni dove che importano usanze e nuovi intercalari. La tua natura sta nel guardare sempre avanti, dritta all’obiettivo. Il tuo bello sta nella molteplicità. 

Eppure ora sei vuota e avanti non ci puoi guardare. 
Eppure ora sei spenta e chissà quando ti riaccenderai.

Ti dirò la verità, non vedevo un cielo così limpido da tempo, il duomo non era così nitido da anni. La luna non è mai stata così bella. 
Noi in silenzio in coda davanti al supermercato ci guardiamo un po’ persi. 

Tornerai, lo so, a brillare di nuovo. 
Tornerai ad aprire le braccia, seppur ferita, porgendo come sempre l’altra guancia. 
Tornerai a insegnarci che il bello esiste dove meno lo vedi. 
Tornerai da chi viene da te con la presunzione di chi si sente migliore, gli dirai che no, non ce n’è motivo, perché qui nessuno è migliore di qualcuno. 
Tornerai a infondere speranza è opportunità. 
Tornerai a brindare con noi alle luci del tramonto, tornerai a dirci che nessuno ci obbliga ad essere tristi. 
Tornerai, lo so. 


Nel frattempo noi ti aspettiamo sui balconi.


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Dare amore

marzo 07, 2020



ogni tanto mi piace 
fermarmi a pensare un po’ 

e in questi giorni tante volte 
mi sono ritrovata a pensare 
a quanto io sia fortunata 
ad essere circondata 
da persone così belle

non parlo solo di chi è costretto 
a stare sempre al mio fianco 
(per voi mi spiace davvero) 
ma anche di chi decide di condividere con me 
solo alcuni momenti, 
qualche minuto, 
due chiacchiere,
un abbraccio,
un paio di messaggi

è bello vedere 
come dare amore 
porta quasi sempre amore
ed è bello scoprirlo in tutte le sue forme

una volta non ero capace di darne così tanto
di amore dico
di affetto

tante volte davo cinismo 
e quello ricevevo
tante volte davo odio 
e quello tornava indietro
stavo male e nemmeno me ne accorgevo

fidatevi se vi dico 
che dare amore non è da deboli di cuore
e ve lo dice una 
che l’amore non l’ha mai capito
e nemmeno ora sa cosa sia

però lo sento 
lo vedo 
lo percepisco
e non posso fare a meno di chiedermi perché ce ne dimentichiamo così spesso 

sarebbe tutto così facile altrimenti

tutto così bello


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Così ho creduto in me.

ottobre 02, 2019


Self-confidence. Tutti ne parlano, tutti la descrivono, nel ventunesimo secolo è di tendenza. Devi credere in te stesso, combattere le insicurezze, fregartene del giudizio altrui, fare quello che ti senti di fare - sembra la ricetta di una torta.
Eppure, un paio d’anni fa, più queste frasi mi venivano ripetute, più mi sembravano vuote. Più le sentivo, più mi pesava il giudizio altrui. Più provavo a ripeterle, più mi rendevo conto di non comprenderne il vero significato.
Ero convinta di combattere le mie insicurezze, eppure continuavo a nasconderle. Dicevo di fregarmene del giudizio altrui, eppure continuavo a cercare l’approvazione degli altri. Pensavo di fare ciò che volevo, invece mi limitavo a fare ciò che sarebbe stato ben visto dai miei amici, dai miei conoscenti.

La verità è che l’autostima non si compra al mercato del pesce, né la si può ordinare con Deliveroo. L’autostima nasce dentro di noi e, come un seme, va piantata, coltivata e curata. Da due anni a questa parte ho iniziato a lavorare seriamente su me stessa, tanto che adesso, per la prima volta in vent’anni, posso finalmente dire di essere veramente felice.

Il primo pilastro che ho scoperto nel viaggio alla ricerca di me stessa è stato questo: le mie insicurezze erano la causa principale dei malfunzionamenti delle mie relazioni con qualunque essere umano. In altre parole: avrei potuto vivere molto più serenamente le mie relazioni se solo avessi eliminato alcune di queste insicurezze. Che detta così, siamo molto vicini alla ricetta della nonna a cui accennavamo prima. Dunque vi faccio un esempio pratico. 
Ai tempi del liceo, soprattutto nel primo periodo, non c’era un giorno, nemmeno uno, in cui io non discutessi con qualcuno. Fosse un mio compagno di classe, un professore, uno sconosciuto, ero sempre lì a puntualizzare anche quando non ce n’era realmente il bisogno. Ero conosciuta come l’avvocato del diavolo, quella che pur di dimostrare di aver ragione andava contro la sua stessa morale, un continuo dimostrare tesi che magari non sostenevo nemmeno, solo per il gusto di affermarmi sugli altri. Con l’unico risultato che ogni giorno era buono per urlare addosso a qualcuno. Ormai i miei amici se n’erano fatti una ragione e io mi facevo andar bene l’epiteto di mestruata a tempo indeterminato (orribile, tra l'altro). In fin dei conti, il personaggio della finta stronza non mi dispiaceva poi così tanto. Finché un giorno qualcosa ha fatto click e ho capito che mi bastavo così, non avevo bisogno di nessuna conferma altrui, ero consapevole delle mie capacità e dei miei limiti e andava bene così. Ho iniziato a scegliere con cura le persone di cui mi circondavo, avvicinandomi a coloro con cui più mi sentivo a mio agio e allontanandomi da quelli che non mi permettevano di essere me stessa al cento per cento, consapevole che solo così avrei vissuto le relazioni in modo più sereno. E così è stato.

Ma ora passiamo al punto più critico, ovvero come eliminarle realmente, queste insicurezze? Perché finché vi dico che qualcosa ha fatto click, non mi potrete mai prendere sul serio. E qui - vi avverto - ho scoperto l’acqua calda. Eppure l’acqua calda è essenziale. Ebbene, la mia arma in questo frangente è stata prendere consapevolezza del fatto che tutte quelle insicurezze, tutte quelle paure, tutte quelle paranoie, le avevano anche gli altri. Le stesse, identiche insicurezze. Anche coloro che avevo sempre invidiato, guardato dal basso verso l’alto perché avevano sempre quel quid in più, anche loro avevano le mie stesse insicurezze. Ho scoperto che la maggior parte delle persone che reputavo sicure di sè, in realtà nascondevano abilmente le loro fragilità dietro qualcosa, un fidanzato, soldi, giri di amici, un profilo instagram - tolto questo, il mondo sarebbe crollato loro addosso.
Ho realizzato che quando dicevo di odiare qualcuno, quando mi capitava di parlare male gratuitamente di altri, tutte quelle volte dietro le mie parole si celava pura invidia, un'ulteriore forma della stessa insicurezza di cui parlavamo poco fa. 
Ma la svolta più esilarante è stata scoprire che questo discorso fosse palindromo, ovvero si potesse fare al contrario: tutte le volte che qualcuno si permetteva di giudicarmi, tutte le volte che sentivo lo sguardo cinico e malevolo della gente posarsi su di me, ora ero certa che tutte queste situazioni fossero frutto di invidia, invidia che nasceva dalla paura di essere inferiori e dunque ancora una volta, insicurezza. 
Ecco che, con questa rivelazione, ho cambiato completamente prospettiva. Ho iniziato a chiedermi cosa esattamente di me la gente avesse da invidiare. Perché fino ad un momento prima ero talmente impegnata ad invidiare io gli altri, che neanche mi sarebbe passato per la testa l’idea che qualcuno potesse provare lo stesso verso di me. E così ho iniziato a conoscermi, a conoscere i miei pregi e i miei difetti, ma soprattutto a non temere il giudizio altrui. Ecco che dunque iniziavo a dare un vero significato a quelle parole. Ora le associavo a qualcosa di concreto, qualcosa di possibile. 

Un’altra cosa che ho imparato, a proposito di insicurezze, è che chi le mostra senza problemi è paradossalmente molto più sicuro di chi invece le nasconde. E se vi sembra ancora che io abbia scoperto l’acqua calda, questa volta sono costretta a dissentire. Oggi come oggi viviamo in una società in cui le insicurezze non sono accettate, ma sono, anzi, stigmatizzate all’ennesima potenza. La prima cosa che impariamo durante l’adolescenza è proprio nascondere le proprie insicurezze. Devi essere figo e non ti puoi sentire sfigato altrimenti lo sei, fai in modo che mamma e papà ti lascino all’angolo della via e non davanti a scuola altrimenti che figura ci fai, devi essere bella ma anche sentirti bella altrimenti è come non esserlo. C’è dunque chi riesce nell’impresa e viene osannato e chi invece non ci riesce, e viene additato. Ecco, nel tempo ho coltivato un altro punto di vista. Provo sempre e comunque una certa ammirazione per chi sa il fatto suo, (che l’autostima sia sexy è un dato di fatto) ma la mia visione di self-confidence è cambiata. È molto più figa e matura ai miei occhi una persona che mostra spontaneamente le proprie insicurezze, consapevole di ognuna di loro e del fatto che siano presenti in ciascuno di noi, piuttosto che una persona che cerca di vendermi una personalità priva di paure ed imperfezioni. Semplicemente perché ormai sono certa che queste personalità non esistono, sono tutte pura finzione, maschere ben costruite per banale istinto di sopravvivenza. Per questo motivo non c’è niente di più vero del proverbio che afferma che “l’amore è cieco”. Non ci innamoriamo di un fisico, ci innamoriamo di una persona e può essere anche la più brutta del mondo, ma se è sicura di sè, apparirà comunque figa ai nostri occhi. Ma non divaghiamo.

Ultimo punto che vorrei toccare riguarda come questa nuova prospettiva abbia cambiato realmente le carte in tavola nella mia vita di tutti i giorni. Tante volte, erroneamente, l’autostima viene scambiata per vanità. Così allo stesso modo fatichiamo ad accettare un complimento, scambiando l’insicurezza per modestia. Non è così. Da dizionario, vanità è il frivolo compiacimento di sè e delle proprie capacità personali vere o presunte. Autostima, invece, è fiducia e stima nei propri confronti. C’è un abisso tra i due concetti. Non è detto che chi sia vanitoso abbia anche una grande autostima e viceversa. Tutto questo per dire che non è un male conoscere se stessi, i propri pregi, i propri limiti e i propri bisogni. Anzi vi dirò di più, l’ultima rivelazione che ho avuto sta proprio in questo: è necessario che io mi conosca a fondo, mi apprezzi per quella che sono e sia consapevole di difetti e necessità affinché io possa regalare agli altri la versione migliore di me. Non è egoismo, anzi. Io so finalmente che se voglio regalarmi agli altri devo anche saper imporre loro i miei limiti. Altrimenti si tratta di annullare se stessi, e ciò non fa bene né a noi né agli altri. Annullare se stessi significa non accettare di avere anche noi delle priorità e a lungo andare anche le relazioni ne risentono negativamente. Un’insoddisfazione di fondo che volenti o nolenti è destinata all’esasperazione, non può essere altro che distruttiva in una prospettiva di lungo periodo. E in tal modo ne soffriamo noi e contemporaneamente le nostre relazioni. 

Quindi no, autostima non equivale a egoismo ma a qualcosa di ben più profondo. L’autostima è la chiave della felicità. Perché solo se soddisfatti ogni giorno di noi stessi e del nostro percorso, riusciamo a renderci conto di quanto siamo fortunati, riusciamo a cogliere il senso della vita ed esserne grati fino in fondo. Non è facile, lo capisco, mi ci sono voluti vent’anni per arrivarci. Ma una volta capito, ve lo garantisco, la vita ha tutto un altro sapore.


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