Così ho creduto in me.

ottobre 02, 2019


Self-confidence. Tutti ne parlano, tutti la descrivono, nel ventunesimo secolo è di tendenza. Devi credere in te stesso, combattere le insicurezze, fregartene del giudizio altrui, fare quello che ti senti di fare - sembra la ricetta di una torta.
Eppure, un paio d’anni fa, più queste frasi mi venivano ripetute, più mi sembravano vuote. Più le sentivo, più mi pesava il giudizio altrui. Più provavo a ripeterle, più mi rendevo conto di non comprenderne il vero significato.
Ero convinta di combattere le mie insicurezze, eppure continuavo a nasconderle. Dicevo di fregarmene del giudizio altrui, eppure continuavo a cercare l’approvazione degli altri. Pensavo di fare ciò che volevo, invece mi limitavo a fare ciò che sarebbe stato ben visto dai miei amici, dai miei conoscenti.

La verità è che l’autostima non si compra al mercato del pesce, né la si può ordinare con Deliveroo. L’autostima nasce dentro di noi e, come un seme, va piantata, coltivata e curata. Da due anni a questa parte ho iniziato a lavorare seriamente su me stessa, tanto che adesso, per la prima volta in vent’anni, posso finalmente dire di essere veramente felice.

Il primo pilastro che ho scoperto nel viaggio alla ricerca di me stessa è stato questo: le mie insicurezze erano la causa principale dei malfunzionamenti delle mie relazioni con qualunque essere umano. In altre parole: avrei potuto vivere molto più serenamente le mie relazioni se solo avessi eliminato alcune di queste insicurezze. Che detta così, siamo molto vicini alla ricetta della nonna a cui accennavamo prima. Dunque vi faccio un esempio pratico. 
Ai tempi del liceo, soprattutto nel primo periodo, non c’era un giorno, nemmeno uno, in cui io non discutessi con qualcuno. Fosse un mio compagno di classe, un professore, uno sconosciuto, ero sempre lì a puntualizzare anche quando non ce n’era realmente il bisogno. Ero conosciuta come l’avvocato del diavolo, quella che pur di dimostrare di aver ragione andava contro la sua stessa morale, un continuo dimostrare tesi che magari non sostenevo nemmeno, solo per il gusto di affermarmi sugli altri. Con l’unico risultato che ogni giorno era buono per urlare addosso a qualcuno. Ormai i miei amici se n’erano fatti una ragione e io mi facevo andar bene l’epiteto di mestruata a tempo indeterminato (orribile, tra l'altro). In fin dei conti, il personaggio della finta stronza non mi dispiaceva poi così tanto. Finché un giorno qualcosa ha fatto click e ho capito che mi bastavo così, non avevo bisogno di nessuna conferma altrui, ero consapevole delle mie capacità e dei miei limiti e andava bene così. Ho iniziato a scegliere con cura le persone di cui mi circondavo, avvicinandomi a coloro con cui più mi sentivo a mio agio e allontanandomi da quelli che non mi permettevano di essere me stessa al cento per cento, consapevole che solo così avrei vissuto le relazioni in modo più sereno. E così è stato.

Ma ora passiamo al punto più critico, ovvero come eliminarle realmente, queste insicurezze? Perché finché vi dico che qualcosa ha fatto click, non mi potrete mai prendere sul serio. E qui - vi avverto - ho scoperto l’acqua calda. Eppure l’acqua calda è essenziale. Ebbene, la mia arma in questo frangente è stata prendere consapevolezza del fatto che tutte quelle insicurezze, tutte quelle paure, tutte quelle paranoie, le avevano anche gli altri. Le stesse, identiche insicurezze. Anche coloro che avevo sempre invidiato, guardato dal basso verso l’alto perché avevano sempre quel quid in più, anche loro avevano le mie stesse insicurezze. Ho scoperto che la maggior parte delle persone che reputavo sicure di sè, in realtà nascondevano abilmente le loro fragilità dietro qualcosa, un fidanzato, soldi, giri di amici, un profilo instagram - tolto questo, il mondo sarebbe crollato loro addosso.
Ho realizzato che quando dicevo di odiare qualcuno, quando mi capitava di parlare male gratuitamente di altri, tutte quelle volte dietro le mie parole si celava pura invidia, un'ulteriore forma della stessa insicurezza di cui parlavamo poco fa. 
Ma la svolta più esilarante è stata scoprire che questo discorso fosse palindromo, ovvero si potesse fare al contrario: tutte le volte che qualcuno si permetteva di giudicarmi, tutte le volte che sentivo lo sguardo cinico e malevolo della gente posarsi su di me, ora ero certa che tutte queste situazioni fossero frutto di invidia, invidia che nasceva dalla paura di essere inferiori e dunque ancora una volta, insicurezza. 
Ecco che, con questa rivelazione, ho cambiato completamente prospettiva. Ho iniziato a chiedermi cosa esattamente di me la gente avesse da invidiare. Perché fino ad un momento prima ero talmente impegnata ad invidiare io gli altri, che neanche mi sarebbe passato per la testa l’idea che qualcuno potesse provare lo stesso verso di me. E così ho iniziato a conoscermi, a conoscere i miei pregi e i miei difetti, ma soprattutto a non temere il giudizio altrui. Ecco che dunque iniziavo a dare un vero significato a quelle parole. Ora le associavo a qualcosa di concreto, qualcosa di possibile. 

Un’altra cosa che ho imparato, a proposito di insicurezze, è che chi le mostra senza problemi è paradossalmente molto più sicuro di chi invece le nasconde. E se vi sembra ancora che io abbia scoperto l’acqua calda, questa volta sono costretta a dissentire. Oggi come oggi viviamo in una società in cui le insicurezze non sono accettate, ma sono, anzi, stigmatizzate all’ennesima potenza. La prima cosa che impariamo durante l’adolescenza è proprio nascondere le proprie insicurezze. Devi essere figo e non ti puoi sentire sfigato altrimenti lo sei, fai in modo che mamma e papà ti lascino all’angolo della via e non davanti a scuola altrimenti che figura ci fai, devi essere bella ma anche sentirti bella altrimenti è come non esserlo. C’è dunque chi riesce nell’impresa e viene osannato e chi invece non ci riesce, e viene additato. Ecco, nel tempo ho coltivato un altro punto di vista. Provo sempre e comunque una certa ammirazione per chi sa il fatto suo, (che l’autostima sia sexy è un dato di fatto) ma la mia visione di self-confidence è cambiata. È molto più figa e matura ai miei occhi una persona che mostra spontaneamente le proprie insicurezze, consapevole di ognuna di loro e del fatto che siano presenti in ciascuno di noi, piuttosto che una persona che cerca di vendermi una personalità priva di paure ed imperfezioni. Semplicemente perché ormai sono certa che queste personalità non esistono, sono tutte pura finzione, maschere ben costruite per banale istinto di sopravvivenza. Per questo motivo non c’è niente di più vero del proverbio che afferma che “l’amore è cieco”. Non ci innamoriamo di un fisico, ci innamoriamo di una persona e può essere anche la più brutta del mondo, ma se è sicura di sè, apparirà comunque figa ai nostri occhi. Ma non divaghiamo.

Ultimo punto che vorrei toccare riguarda come questa nuova prospettiva abbia cambiato realmente le carte in tavola nella mia vita di tutti i giorni. Tante volte, erroneamente, l’autostima viene scambiata per vanità. Così allo stesso modo fatichiamo ad accettare un complimento, scambiando l’insicurezza per modestia. Non è così. Da dizionario, vanità è il frivolo compiacimento di sè e delle proprie capacità personali vere o presunte. Autostima, invece, è fiducia e stima nei propri confronti. C’è un abisso tra i due concetti. Non è detto che chi sia vanitoso abbia anche una grande autostima e viceversa. Tutto questo per dire che non è un male conoscere se stessi, i propri pregi, i propri limiti e i propri bisogni. Anzi vi dirò di più, l’ultima rivelazione che ho avuto sta proprio in questo: è necessario che io mi conosca a fondo, mi apprezzi per quella che sono e sia consapevole di difetti e necessità affinché io possa regalare agli altri la versione migliore di me. Non è egoismo, anzi. Io so finalmente che se voglio regalarmi agli altri devo anche saper imporre loro i miei limiti. Altrimenti si tratta di annullare se stessi, e ciò non fa bene né a noi né agli altri. Annullare se stessi significa non accettare di avere anche noi delle priorità e a lungo andare anche le relazioni ne risentono negativamente. Un’insoddisfazione di fondo che volenti o nolenti è destinata all’esasperazione, non può essere altro che distruttiva in una prospettiva di lungo periodo. E in tal modo ne soffriamo noi e contemporaneamente le nostre relazioni. 

Quindi no, autostima non equivale a egoismo ma a qualcosa di ben più profondo. L’autostima è la chiave della felicità. Perché solo se soddisfatti ogni giorno di noi stessi e del nostro percorso, riusciamo a renderci conto di quanto siamo fortunati, riusciamo a cogliere il senso della vita ed esserne grati fino in fondo. Non è facile, lo capisco, mi ci sono voluti vent’anni per arrivarci. Ma una volta capito, ve lo garantisco, la vita ha tutto un altro sapore.


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20.

settembre 25, 2019


Vent’anni. Un traguardo, una meta, una svolta, un’età da segnare. Se la Viscardi ha deciso di dedicarci un intero canale YouTube, io dedico loro il primo articolo di una nuova stagione.

Ieri sera mi sono addormentata che ancora ero nell’era dei teen - nineteen, teenager a tutti gli effetti. Stamattina mi sveglio ventenne. Ho aggiunto una decina, una di quelle palline rosse che si trovano sull’abaco, di fianco a quelle blu delle unità. E per la prima volta non sono così tanto felice di aver compiuto gli anni. O meglio, non è la stessa sensazione di un tempo, quella che provavo da piccola, quando non vedevo l’ora di aggiungere un numero alla mia collezione di candeline, quando l’unico pensiero che avevo era quello di mangiare la torta e di scartare i regali. Ora ripenso a tutte le volte che mi sono sentita dire dagli adulti che dopo una certa età l’aggiunta di una pallina rossa non si festeggia più e, per la prima volta, non posso biasimarli. 

Stavo così bene nei miei teen, ormai mi ci ero quasi abituata. Con quel guardare sempre avanti e mai indietro, correndo senza timore verso il cambiamento, verso il diverso, verso ciò che non è la routine. Quell’età dove potevi prendere e lasciare tutto senza pensieri, senza preoccupazioni. Quell'età in cui le scelte non erano così rilevanti, perché si aveva una vita davanti per decidere cosa fare, dove andare. Quell'età in cui ti sentivi invincibile e immortale, e la salute era un discorso da vecchi che non ti avrebbe toccato ancora per un bel po’. 

E poi ti risvegli ventenne, la patente, un conto in banca, gli esami, un lavoro e un pugno di responsabilità in più. Ti risvegli ventenne e sai che ora prima di prendere e lasciare tutto ci penserai due volte, se non tre. Ti risvegli ventenne e scopri che ogni scelta, ogni piccola decisione quotidiana è il pezzo di un puzzle che devi completare senza avere la minima idea di come sia la figura completa. Ti risvegli con la paura di scegliere il pezzetto sbagliato che poi non si incastra. O ancora peggio, con la paura che il pezzo che scegli porti a una figura che poi non sai se ti piacerà più di tanto, il problema è che non hai idea di che figura ti piaccia, perché non è che tu te lo sia mai chiesto per davvero. Ti risvegli ventenne e scopri di non essere immortale e ringrazi qualche divinità perché per qualche strana incomprensibile ragione a vent’anni ci sei arrivato ancora tutto intatto. Scopri di non essere immortale, conti tutte le sigarette che hai fumato fino ad ora - sembrava ieri che con aria di sfida ti accendevi la prima - e scopri che ormai son passati anni e che forse è anche arrivato il momento di metterlo in conto. Insomma ci si sente vecchi solo a farlo, un discorso del genere. Uno di quei discorsi che sentivi fare ai grandi e trovavi così tristi, così limitanti. E invece ora la clessidra la vedi anche tu, senti - ancora lontano, ma lo senti, e per la prima volta - il ticchettio del timer, che fa la conta al rovescio. 

E nonostante tutto, questi vent’anni hanno un certo fascino. Vedi le responsabilità, ne senti il peso, ne vedi altre in arrivo eppure non puoi fare a meno di pensare che in fondo non sia poi così brutto diventare grandi. Inizi a conoscere parole come autonomia, autodeterminazione, libertà, scelta, possibilità. E ti spaventi, ma allo stesso tempo provi un pizzico di brio, di quell’adrenalina che ancora un po’ ti è rimasta dall’adolescenza, il brivido di poter scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa di più grande seppur misterioso e per questo temibile. 

E pensi che questa volta, forse, se farai qualche sforzo in più potrai anche godertelo davvero, questo cambiamento. Perché ora hai gli strumenti per essere consapevole della sua bellezza, della sua grandezza, della sua unicità. Non te lo lascerai scivolare addosso come prima, così, come se fosse acqua. No, lo guarderai negli occhi e gli dirai che non lo temi, nonostante tu ti stia cagando sotto dalla paura. E poi lo guarderai di nuovo, da vicino, e gli dirai: ti stavo aspettando. Non ti aspettavo così, ma oh non sei così terribile come pensavo. 

Oppure capiterà che lo guarderai e ti dispererai perché preferiresti cento volte tornare indietro e non doverlo guardare in faccia, questo cambiamento. E ti aggrapperai all’idea di poter rimpicciolire e fingerti felice e indifeso come qualche anno fa, finché non ti accorgerai di non poterlo fare, perché la vita va avanti e chi resta indietro ne viene travolto. 


Questi vent’anni li vedo così, un po’ confusa, un po’ spaventata, un po’ intrigata. Chissà se ne uscirò viva. O meglio, chissà se voleranno, come si sente dire in giro. Mi auguro di no, perché ai trenta, ancora, non ci voglio proprio pensare. Nel frattempo, farò del mio meglio per viverli fino in fondo, perché è l'unica cosa che mi resta da fare.


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